Quando ha cominciato a scrivere? Era sicuro di voler diventare uno scrittore?
Intorno ai vent’anni. Volevo essere poeta, solo poeta.
Che cosa scriveva all’inizio? È stato incoraggiato da qualcuno e se sì, da chi?
Poesie. No, nessuno mi ha incoraggiato.
Come si fa a sviluppare una buona tecnica della scrittura? Ci sono trucchi che si possono usare per migliorare?
Niente trucchi. Non funzionano. Mai. Non si mente quando si va in scena, se lo si fa tutti se ne accorgono. La disciplina dietro le quinte porta naturalezza sul palcoscenico.
C’è una cosa che ha scritto tanto tempo fa e che le piace quanto ciò che scrive adesso?
Alcune storie per ragazzi e alcune poesie.
Le sue storie (i suoi libri) nascono meglio quando scrive in tranquillità o sotto stress?
Scrivere è scomodo, sempre. Non c’è quiete quando scrivo. Però non mi piace la parola stress, suggerisce sforzo. Lo sforzo non è amico della poesia. Il duro lavoro sì.
Legge molto? Quali scrittori l’hanno influenzata maggiormente?
Mi piacciono le storie epiche: Vita e destino di Vasilij Grossman e Il figlio di Philipp Meyer sono gli ultimi due libri che ho letto. Immensi. Direi che i russi, Proust, Omero e la poesia americana sono stati e restano i miei migliori amici.
Ha delle abitudini quando scrive? Predilige dei luoghi particolari dove scrivere?
Fumo la pipa e scarabocchio con una vecchia stilo – una Namiki – tutto quel che mi capita a tiro. Scrivo in una piccola stanza di casa mia, con la volta a botte. È tappezzata di libri selezionati, solo quelli che possono aiutarmi quando mi prende il panico e mi blocco, quando la pipa e la Namiki non bastano più.
Uno scrittore può imparare lo stile?
No. Può solo perfezionare quello che gli dèi gli hanno dato. L’orecchio è un dono, non te lo puoi dare. Un dono non s’impara, si coltiva.
Il libro è già tutto presente nella sua testa prima di cominciare a scrivere o si sviluppa, sorprendendola, mano a mano che va avanti?
Le due cose. Una parte della storia, soprattutto le infanzie dei personaggi principali (anche se non vengono messe in scena) sono già lì, prima di metter mano alla penna, ma poi i personaggi, una volta suscitati, spesso procedono per conto loro.
Quanto c’è di autobiografico nei suoi lavori?
Non molto, credo. I luoghi sì, sono sempre quelli che conosco, ma in genere le mie storie avvengono in epoche distanti, in ogni senso, da quella in cui mi è capitato di vivere.
Progetti per il futuro?
Scrivere, scrivere, scrivere.
Scrittura a parte, qual è la forma d’arte che sente più affine?
Musica, pittura, cinema, in quest’ordine.
Il suo rapporto con le critiche e la Critica?
Nessuno.
Quali sono le sue piccole manie?
Parlo da solo e non sempre a voce bassa. Conto i gradini, le sillabe, le parole. Con il 3 e i suoi multipli intrattengo un rapporto privilegiato.